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Lezioni di canto – Tutti i diritti sono riservati – copyright by Laura Pigozzi
E’ in libreria il libro di Laura Pigozzi
A Nuda Voce. Vocalità, inconscio sessualità.
Antigone Edizioni, Torino
SECONDA EDIZIONE!!
Lezioni individuali via skype
Per info scrivi a: lapigozzi@gmail.com
Indice delle lezioni free online:
Il sistema respiratorio
1. Il diaframma e i suoi movimenti
2. Inspirazione ed espirazione
3. La postura del canto
4. Esercizi per la respirazione
Il sistema laringeo
1. La laringe e le corde vocali
2. I problemi delle corde vocali
I risuonatori
1. Le cavità di risonanza
2. Il timbro musicale
3. Esercizi
I temi più discussi
1. Voce di testa e voce di petto
2. Il falsetto e il passaggio
3. Voce e gravidanza
4. Consigli pratici in breve
5. Tessitura ed estensione
Bibliografia sulla voce
Seminario di canto del 15.03.03 (trascrizione)
Al Blue Note di New York!
Lezione su: Che cosa sentiamo quando ascoltiamo una voce?
Laura Pigozzi a Lucca, ospite del Seminario di Loredana Lubrano e Daniela Panetta, tiene una lezione sulla voce e l’ascolto.
(presso: Area 23 Centro di Formazione artistico musicale)
ASCOLTA LA LEZIONE SULLA VOCE (59 min)
19 luglio 2009
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1. Il diaframma e i suoi movimenti
La voce umana – parlata e cantata – impegna in maniera coordinata tre sistemi:
• il sistema respiratorio
• il sistema laringeo
• i risuonatori
Questa lezione è dedicata ad una parte importante del sistema respiratorio: il diaframma e i suoi movimenti.
Il nostro corpo è un eccellente strumento musicale. E per farlo `suonare’ occorre innanzitutto conoscerlo. Cominciamo dunque dalla respirazione che è ciò che ci tiene in vita e che ci permette di cantare e di parlare.
Certamente senza una buona respirazione….non si canta. Anche se una buona respirazione non esaurisce comunque l’arte del canto! Ad ogni modo questo è il centro del sistema di emissione sonora e dunque partiremo da qui.
Il cuore del sistema respiratorio è il diaframma, il cui significato etimologico è `ciò che sta in mezzo’ (diafragma). Questo muscolo respiratorio, di forma larga e convessa, in effetti separa la cavità toracica da quella addominale. Quando inspiriamo la curva del diaframma si alza e il muscolo si rende più idoneo a sostenere la nota.
A che cosa serve il diaframma?
Oltre che a separare due cavità con funzionalità differenti, il diaframma è il nostro fondamentale sostegno del suono: è qui che avviene il cosiddetto `appoggio’. Con un’immagine fantasiosa possiamo dire che il diaframma è il `vassoio’ che sostiene il suono.
Sentire la funzionalità del diaframma o anche solo la sua `presenza’, è tra le cose più difficili del canto, pur essendo assolutamente indispensabile.
Proviamo ad aiutarci con alcuni esercizi molto semplici:
1. Cominciamo a ridere, prima piano e poi forte, cercando di sentire i movimenti sussultori del muscolo.
2.Ora proviamo invece a sbadigliare: con questo esercizio il diaframma si dispone in massima curvatura, la posizione cioè di sostegno della voce. Lo sbadiglio serve anche a ‘prendere coscienza’ delle cavità boccali e faringee che nel canto vanno sempre tenute aperte per non chiudere il passaggio al suono (argomento di lezioni successive).
3. Quando ci capita di singhiozzare – nel pianto o nel semplice singhiozzo – possiamo osservare il coinvolgimento del diaframma (naturalmente questo non può dirsi un esercizio ‘volontario’ e spero anzi che a tutti noi capiti il meno possibile di sentire la presenza del diaframma per questa via…).
4. Per chi segue regolari lezioni di canto, sarà facile sentire questo muscolo durante gli esercizi di suono picchettato.
Ecco un’immagine del diaframma visto dal retro:
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2. Inspirazione ed Espirazione
Respirare significa inspirare ed espirare.
L’inspirazione.
Innanzitutto quando si inspira bisognerebbe cercare di riempire d’aria tutto il polmone e non solo la parte alta (respirazione clavicolare). Questa è una regola che ci dovrebbe accompagnare, oltre che nel canto, in ogni momento della nostra vita. Infatti la respirazione alta o clavicolare è dannosa per l’organismo perché consente solo una limitata ventilazione ed un ricambio sanguigno insufficiente. E’ lo stress e la fretta che ci fa respirare solo con la parte alta del polmone. Infatti gli animali e i bambini, nell’atto respiratorio, riempiono `naturalmente’ tutto il polmone.
La respirazione parte dal naso (vedi: consigli per la voce). L’aria giunge ai polmoni che vanno riempiti fino in fondo; arriva poi all’addome che si gonfia portandosi leggermente in avanti. La volta diaframmatica si alza di diversi centimetri. Le costole inferiori si aprono lateralmente e quindi il diaframma si abbassa un po’. La gabbia toracica è più ampia sia lateralmente – apertura costale – che verticalmente per effetto dell’abbassamento diaframmatico (e non perché si sono alzate le spalle che devono invece rimanere immobili!)
L’espirazione.
La cinghia addominale si mantiene tonica per fornire pressione e regolarla; il diaframma torna nella posizione originaria; le costole si chiudono. Quando si canta questo movimento va regolato cercando di `ritardare’ la chiusura costale con il sostegno addominale, senza eccedere per non bloccare il diaframma. Data l’importanza del sostegno addominale per la tenuta del suono, si consiglia di fare esercizi addominali per aiutare la tonicità dei muscoli.
L’emissione del suono va `tenuta’, e non va spinta, per evitare la chiusura laringea: in questo modo, oltre a provocare danni alle corde vocali (il sistema laringeo sarà oggetto di un’altra lezione), la cassa toracica non entra più in vibrazione come dovrebbe.
Ecco qui sotto i movimenti diaframmatici di un buon cantante:
Movimenti del diaframma visti lateralmente e frontalmente.
1= diaframma
2= apertura della volta diaframmatica (con l’apertura costale si riabbassa leggermente)
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3. La postura nel canto.
Dopo aver parlato dei movimenti del diaframma, vero `cuore’ dell’arte del canto, è necessario dedicarci alla postura dell’intero corpo, perché questa influisce in maniera decisiva sulla qualità della nostra emissione.
Una adeguata postura permette al suono di sfruttare al meglio le risonanze naturali del nostro corpo.
La esatta postura è, inoltre, preliminare ad una corretta impostazione di tutto il sistema laringeo. Infatti, se il corpo non è ben posturato, la gola non si aprirà e il lavoro delle corde potrebbe risultare affaticato e compromesso.
Se, come abbiamo detto, è l’intero corpo a cantare, è intuitivo che esso debba assumere una posizione corretta.
Le gambe.
Innanzitutto il sostegno del corpo deve essere sicuro. Dunque teniamo i piedi leggermente distanziati, in modo che il baricentro del corpo abbia un’area sufficientemente ampia entro cui cadere.
Le ginocchia devono restare morbide ed elastiche e, nel contempo, sostenere il peso (similmente a ciò che si insegna ai principianti dello sci). Le ginocchia si flettono lievemente per evitare che il bacino sia trattenuto all’indietro.
Il bacino e il tronco.
Il bacino si sposta leggermente in avanti, sostenuto in questo dalla lieve flessione delle ginocchia. L’insenatura lombare diminuisce.
Il tronco va tenuto eretto.
Questa postura favorisce in maniera naturale la cosa più difficile da fare, cioè l’allargamento del torace. Infatti le costole basse si aprono già per effetto della postura fin qui descritta.
Quindi se avete eseguito correttamente le posizioni, vi troverete appunto con la dilatazione toracica in atto e il diaframma in posizione adeguatamente estesa così da far da supporto al suono.
L’immagine mentale da seguire è quella della verticalità, unita ad una certa morbidità. Infatti la posizione eretta troppo rigida impedisce di fatto il canto, perché anche la gola risulterà irrigidita.
Il collo e le spalle.
Si controlli che le spalle siano basse con le clavicole disposte orizzontalmente. In questo modo anche il collo è allungato e, conseguentemente, diminuisce l’incurvatura cervicale.
Se avrete eseguito tutto correttamente fin qui, avrete come risultato automatico l’appiattimento delle scapole sulla gabbia costale e la dilatazione delle costole alte.
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4. Esercizi per la respirazione.
N.1. Per esercitare la respirazione addominale.
Questo esercizio ci insegna ad utilizzare la pancia nella respirazione. E’ alla base della tecnica costo-diaframmatica (che verrà spiegata nell’es. N.2), quella così necessaria per cantare bene.
Sdraiamoci in posizione supina su una superficie rigida. Appoggiamo bene le spalle a terra. Posiamo una mano sull’ombelico. Inspiriamo col naso e gonfiamo la pancia. Dobbiamo vedere la nostra mano che si alza per effetto dell’aria che ci riempie.
Tratteniamo l’aria per 2-3 secondi. Espiriamo con la bocca sgonfiando la pancia. La nostra mano segue anche la fine di questo movimento. Prima di riprendere restiamo un paio di secondi con il corpo svuotato.
N.2. Per esercitare la respirazione costo-diaframmatica.
Con questo importantissimo esercizio si impara ad utilizzare il sistema costale e diaframmatico insieme. Cioè proprio quel che è indispensabile saper usare per cantare sostenendo il suono. Questo esercizio è davvero difficile, soprattutto se decidete di farlo da soli. Cercate quiandi di farvi guidare dalla vostra insegnante per evitare errori.
Come nell’esercizio precedente sdraiamoci in posizione supina su una superficie rigida. Posiamo una mano sull’ombelico ed una lateralmente sul costato (pollice in avanti). Inspiriamo col naso gonfiando la pancia e… spostiamo l’aria dilatando il costato lateralmente. Espiriamo mantenendo la dilatazione costale. Attendiamo un paio di secondi prima di riprendere l’esercizio.
N.3. Per sviluppare la muscolatura costale ed addominale.
Una volta impratichiti con l’esercizio N.2, possiamo passare al consolidamento della muscolatura di sostegno nel seguente modo:
Inspirariamo col naso, spostiamo l’aria dilatando lateralmente il costato (vedi es. precedente) e tratteniamo il respiro per 2 o 3 secondi. Cominciamo quindi ad espirare lentamente mantenendo la dilatazione costale. Verso la fine della emissione del fiato, cerchiamo di prolungare l’espirazione emettendo la consonante SSSSSS in modo regolare fino allo svuotamento.
Ricordiamo che lo svuotamento d’aria non deve mai essere completo. Tratteniamo sempre un po’ d’aria dentro di noi. Questo vale per tutti gli esercizi e soprattutto in fase di canto vero e proprio.
Inizialmente l’emissione della consonante SSSSSS non durerà più di qualche secondo. Cerchiamo di estendere gradualmente questo tempo fino ad un massimo di 30 secondi per le donne e 40 per gli uomini.
Se facciamo questo esercizio regolarmente otterremo un ottimo sostegno del suono.
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1. La laringe e le corde vocali La laringe è la fonte di produzione del suono. Si tratta di un organo mobile formato da cartilagini, la più voluminosa delle quali è la cartilagine tiroidea, o pomo d’Adamo, visibile sulla parte anteriore del collo. Questa cartilagine è la più voluminosa di tutte e costituisce una sorta di scudo protettivo per le altre cartilagini della laringe.
All’interno della cavità laringea troviamo le due corde vocali. La figura 1 mostra le corde vocali chiuse (stato di fonazione) e la figura 2 le corde aperte (stato di riposo). Quando le corde sono aperte abbiamo la fase di silenzio: l’aria passa e permette la respirazione. Quando le corde si avvicinano e vibrano c’è produzione di suono, prodotto dal passaggo dell’aria.


Le figure vanno viste come in sezione orizzontale laringea. Immaginando di scendere, dall’alto, all’interno della laringe, prima delle corde vocali vere e proprie, incontriamo le false corde vocali. Dunque si può dire che le corde vocali sono 4: due superiori, false, con funzione protettiva, e due inferiori, vere, con funzione fonatoria. Le false si chiamano così perché non servono a cantare (se stimolate, producono un suono sordo e rauco).
Tra le vere e le false c’è uno spazio di circa 2 mm.
Le false corde sono più sottili e quasi prive di fasci muscolari, le corde vere sono invece spesse e corredate di importanti fasci muscolari.
D’ora in avanti parleremo sempre e solo di quelle vere.
Il suono si produce utilizzando il passaggio dell’aria tra le corde, unitamente all’azione dei muscoli vocali che sono, a loro volta, comandati dai centri nervosi cerebrali.
Lo spazio allungato in cui le corde vocali sono collocate si chiama glottide o rima glottica. La misura della lunghezza della glottide, e dunque delle corde vocali, è di circa 14-20 mm nella donna e 18-25 mm nell’uomo. La misura della larghezza della fessura tra le corde, varia a seconda dei movimenti delle corde. Aumentando l’altezza del suono le corde si avvicinano sempre di più fino a chiusura quasi totale nei suoni alti. La misura di massima apertura si ottiene durante il riposo (il silenzio) ed è di circa 7 mm.
Le differenze timbriche della voce dipendono anche dallo spessore delle corde: le corde più sottili appartendono a persone con voce più leggera ed acuta; corde grosse producono invece suoni più tondi e gravi.
Per chi avesse desiderio di `vedere’ le proprie corde, ricordo che con un semplice esame di controllo foniatrico (da effettuare periodicamente), ognuno può guardarle comodamente sul monitor dell’apparecchio medico. E’ una bella `presa di coscienza’ che ci aiuta a visualizzare uno strumento `invisibile’ quale è quello che i cantanti usano (a differenza di altri musicisti). Possiamo così dare un maggior senso di realtà a questo nostro strumento musicale interno e, con la convinzione che davvero laggiù c’è qualcosa, possiamo essere invogliati a trattarle meglio. Cosa che i cantanti troppo spesso non sanno fare e sottopongono le loro povere corde ad eccessivi e dannosi carichi di lavoro.
La laringe è un organo mobile che può salire e scendere. Con l’esercizio (da fare con l’insegnante) si cerca di ottenere un movimento laringeo morbido, senza `salti’.
Evitare un abbassamento o un innalzamento repentino della laringe.
La laringe si appoggia alla colonna cervicale che, attraverso il sistema osseo, mette il corpo in risonanza. Il vero suono scaturisce da tutto il corpo. Recenti studi hanno dimostrato che è possibile rimodellare la struttura del corpo di un individuo, modificandone la voce.
1. Le cavità di risonanza
Il suono si produce nella laringe e si propaga nelle zone di risonanza. Le prime zone di risonanza che il suono incontra sono:
• la cavità della faringe
• la cavità della bocca
• le cavità del naso
Vediamole nelle loro particolarità.
• La faringe
Troviamo questa cavità dietro la bocca, posteriormente alla lingua. E’ una cavità che può variare il suo volume sia in senso orizzontale che verticale. Ovviamente, maggiore sarà l’ampiezza della zona faringea, più il nostro suono sarà libero e naturale. E’ infatti importante che la muscolatura del collo sia sempre rilassata, in modo che lo sia anche il cavo faringeo.
• La bocca
Perché il suono possa risuonare in tutta la sua bellezza è necessario che anche la cavità buccale sia ampia. Il velo palatino (soffitto posteriore della bocca), è mobile, può alzarsi e abbassarsi. E’ una specie di valvola che può mettere in comunicazione o separare la cavità della bocca con la zona posteriore del naso (rinofaringe).
Spalancando la bocca, al suo fondo si vede l’ugola, un piccolo muscolo a forma di ogiva, che pende dal centro del velo palatino. La sua funzione nella fonazione non è ancora del tutto chiara.
• Le fosse nasali e i seni
Le fosse nasali possono comunicare con i seni per mezzo di piccoli orifizi. Fosse nasali e seni costituiscono quello che generalmente viene chiamata maschera. Il suono in maschera risuona proprio in queste zone (immaginate proprio una specie di maschera di carnevale che contorna gli occhi e copre il naso).
I seni sono quattro: sopra l’orbita (seno frontale), sotto l’orbita (seno mascellare), tra l’occhio e il lato del naso (seno etmoidale) e il soffitto del rinofaringe (seno sfenoidale). Le zone dei seni possono essere colpite da sinusiti.
E’ da sottolineare che la funzione risonatoria dei seni è, da alcuni autori, messa in discussione. Alcuni, infatti, li considerano solo sede di sensazioni vibratorie, anziché cavità di risonanza vere e proprie. Noi qui li trattiamo come luoghi di risonanza.
Una delle proprietà del suono è quella di propagarsi attraverso le ossa del corpo umano. Si capisce, dunque, perché la testa e il petto, siano zone di risonanza importantissime. Le espressioni voce di testa e voce di petto, indicano appunto le zone di risonanza della voce. Attenzione: testa e petto, forse non è superfluo dirlo, sono zone di risonanza e non di produzione della voce! Il suono si produce sempre nella laringe, attraverso l’attività delle corde che, accollandosi e vibrando, trasformano l’aria in suono.
La voce emessa si propaga per tutto il corpo utilizzando le ossa come veicolo. A questo proposito pensate al fatto che il feto sente la voce materna che gli arriva condotta dalle ossa della colonna vertebrale della madre. Sulla capacità di propagazione del suono attraverso le ossa, vi segnalo anche alcuni esperimenti sonori di Laurie Anderson, musicista americana, che esegue interessantissime opere sonore interattive. Tra queste un tavolo musicale sul quale si appoggiano i gomiti e, mettendosi le mani a conchiglia sulle orecchie, si odono perfettamente certi suoni prodotti all’interno del tavolo, altrimenti inudibili. Le ossa delle braccia fanno da trasmissione sonora. C’è anche un video in cui si vede la Anderson mentre batte ritmicamente coi pugni sul proprio cranio, alternando questo suono allo sbattere cadenzato dei denti, producendo così suoni percussivi di tutto rispetto, raccolti da un piccolo microfono posto sul ponte degli occhiali indossati.
Quando si emette la voce, dunque, un’onda sonora si produce per tutto il corpo. E’ anche per questo che si dice che si canta con tutto il corpo.
Laringe e cavità di risonanza
1.seno sfenoidale
2.cavità del rinofaringe
3.muscoli ioidei
4.epiglottide
5.corde vocali
6.cavità buccale
1. seno frontale
2. seno mascellare
3. seno etmoidale
4. cavità nasale
5. rino-faringe
6. faringe
7. laringo-faringe
8. laringe
2. I problemi delle corde vocali
Questo è uno degli argomenti su cui si concentrano maggiormente le domande dei cantanti e uno dei temi che li fanno più soffrire! Purtroppo, infatti, non è raro vedere cantanti usare piuttosto male le corde vocali. Le corde sono spesso utilizzate sotto sforzo e senza appoggio adeguato del suono al sistema di sostegno diaframmatico. Se si persevera in questo comportamento patogeno, si può incorrere in un sovraffaticamento a carico delle corde, che porta ad anomalie di funzionamento e, nei casi più gravi, a vere e proprie patologie a carico delle corde.
Come si vede dalla figura 1, il nome popolare di “corde” vocali, può risultare improprio. Non sono propriamente delle corde, non assomigliano affatto a delle corde, ma piuttosto a delle labbra che, come le labbra vere e proprie, accollandosi possono vibrare. Nei testi di anatomia si preferisce, infatti, chiamarle “pliche” vocali. In questa lezione, per consuetudine e semplicità, continueremo a chiamarle corde. Ma il lettore tenga presente questa precisazione.
Ecco le patologie più comunemente riscontrate a carico delle corde vocali:
Ipercinesia: è il primo sintomo dello stress laringeo. La prima reazione della laringe allo sforzo eccessivo è un aumento della sua capacità contrattile.
In questa fase sono evidenti i seguenti sintomi:
• attacco duro
• intonazione imprecisa
• postura del cantante innaturale che richiama lo sforzo compiuto.
A questa prima fase di contrazione, se non si interviene, la laringe reagisce, in un secondo tempo, rilasciandosi e sviluppando una classica ipotonia.
La terapia fondamentale per l’ipercinesia è costituita da esercizi di rilassamento e di respirazione. Occorre anche far cantare il soggetto sul registro medio, utilizzando la vocale `o’. Si possono rivelare utili i massaggi distensivi sulla muscolatura del collo.
Ipotonia: le corde e la voce appaiono senza tono. In questa fase notiamo che:
• l’attacco del suono è spesso soffiato
• il canto a mezza-voce è compromesso
• l’emissione è velata (questa è la caratterista più evidente)
• la postura del cantante è fin troppo rilassata
• spesso il cantante non ha sufficiente fiato per finire la frase melodica
La terapia fondamentale per l’ipotonia è costituita da opportuni esercizi di respirazione ed esercizi di fonazione a bocca chiusa. Solo in seguito si introdurranno esercizi con la vocale `i’. Occorre anche lavorare per potenziare l’appoggio in maschera. Nei casi piuttosto acuti il medico potrebbe prescrivere anche sedute di elettroterapia.
I noduli.
I noduli si formano per stress e traumatismo. Possono costituire l’esito di una ipotonia non curata. Sono il risultato di una prolungata tecnica sbagliata che sforza l’apparato vocale. Alcuni studiosi ritengono che i soggetti più a rischio siano i tenori e le soprano perché, proprio l’altezza maggiore della loro fonazione, può stressare maggiormente le corde. Una buona tecnica, naturalmente, serve ad evitare l’insorgenza di questa fastidiosa complicazione. Con i noduli si deve dire addio al canto per i molti mesi di rieducazione. E, nei casi più gravi, occorre anche pervenire all’asportazione chirurgica.
La terapia. Nel caso di uno stadio prenodulare, rilevabile particolarmente con la visita stroboscopica, si ha un inspessimento del bordo cordale. In questi casi riposo vocale e rieducazione possono evitare l’intervento chirurgico. Invece l’ablazione chirurgica rimane la sola strada se il nodulo è già formato. Questo spiega perché chi usa molto la voce, fa bene a sottoporsi periodicamente a controllo foniatrico e questo specialmente in presenza sintomi, anche lievi.


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1. Voce di testa e voce di petto
La voce di testa è un’emissione dal timbro sottile ottenuto utilizzando le sole vibrazioni della scatola cranica.
La voce di petto utilizza invece le vibrazioni del torace.
Riusciamo a capire meglio se ci immaginiamo il nostro corpo come un violino o come un violoncello: il restringimento laterale così tipico dei due strumenti, si può assimilare al collo umano che svolge, in questo senso, la stessa funzione di separazione delle due voci.
Ma, attenzione, le cose non sono così schematiche perché nella voce di petto è presente una componente della voce di testa e viceversa. Le interferenze della voce di testa su quella di petto sono più consistenti dell’inverso.
Con l’esercizio teso a migliorare la voce di petto si ottiene anche un benefico effetto sulla voce di testa.
E, viceversa, migliorando la voce di testa, la voce di petto risulterà più brillante.
Le due voci sono assolutamente interconnesse. Non si può avere buona solo una delle due voci. Se pensate di avere, ad esempio, dei buoni bassi ma pochi alti, state certi che non avete davvero dei buoni bassi.
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2. Il falsetto e il passaggio
Si definisce falsetto quella struttura timbrica che, a livello laringeo, prepara il passaggio dalla voce di petto a quella di testa.
Lavorare sul passaggio è importante perché la voce deve raggiungere una ed una sola coloritura per entrambi i registri. L’ottenimento della medesima qualità sonora è estremamente importante. Anche in questo caso, è necessario farsi seguire da una persona esperta. Non ci sono, per questa delicata fase, degli esercizi fai-da-te. Quanti cantanti si ritrovano con due voci e a volte persino tre! Si tratta di persone che non hanno lavorato bene sul passaggio.
Il falsetto è dunque la ‘saldatura’ intermedia tra il registro acuto, di testa e quello grave o di petto.
Il falsetto non è altro che una sorte di protezione che la laringe attua al fine di poter passare indenne da un registro all’altro. E’ una sorta di limitazione dei danni provocati dalla voce `spinta’ nei registri acuti. Utilizzando una metafora inventata da Tomatis, possiamo dire che il passaggio da un registro all’altro è assimilabile al cambio di marcia di un’auto. Il falsetto corrisponde allora la frizione che, per ‘disinnesto’, consente un passaggio morbido da una posizione all’altra del cambio. Il `disinnesto’ avviene a livello della laringe che si rilassa.
Il falsetto è dunque il `disinnesto’ per accedere alla voce di testa.
Il falsetto è una difesa laringea.
Occorre precisare che spesso, possiamo incontriamo la definizione di falsetto come voce di testa appoggiata. In realtà questo è quello che, dal 1826, si è convenuto chiamare falsetto accomodato.
Per utilizzare appieno la funzione del falsetto e renderla produttiva, occorre invece ricordare la sua funzione appunto di `reinnesto’.
La possibilità di lavorare bene sul falsetto in termini di passaggio, è anche una cartina al tornasole per verificare quanto una voce sia stata maltrattata. Se la voce è stata mal usata, il lavoro di ‘aggiustamento’ del falsetto risulta praticamente impossibile.
L’arte del canto significa anche arte di cancellare i passaggi. Lavorare sui passaggi significa, di fatto, farli scomparire.
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3. Voce e gravidanza
Si consiglia alle cantanti in gravidanza, ed in generale a tutte le future mamme, di cantare per il loro bambino. Questo non è solo un valido sostegno psicologico ad entrambi, ma di fatto, produce benessere anche sul piano puramente fisico.
Come sappiamo la voce si propaga oltre che per via aerea anche per via ossea. Il bambino dunque ascolta la voce materna che gli giunge attraverso le vibrazioni della colonna vertebrale e il sistema scheletrico.
Konrad Lorentz, l’etologo, fece un esperimento per scoprire se il feto era in grado di udire. Cominciò a parlare regolarmente ad una covata di anatre e, all’apertura dei gusci, gli anatroccoli, sensibilizzati dalla sua voce, lasciavano la madre per seguire lo scienziato quando questi parlava!
L’apparato vestibolare si forma per primo nel feto. L’orecchio interno è completo al 4° mese. Il bambino sente benissimo fino alla nascita a seguito della quale ha un breve periodo di latenza perché deve riconvertite l’udito acquatico tipico della fase uterina, all’udito aereo della fase extrauterina.
La prima cosa che riconosce, dopo la nascita, è la voce che gli aveva offerto all’interno del corpo materno, il nutrimento sonoro.
La voce della madre è spesso usata nelle terapie ed anche negli stati comatosi per indurre nel soggetto un risveglio alla vita.
Al contrario ci sono alcune voci capaci di indurre rifiuti o addirittura disturbi psicosomatici.
“Se la voce basta a calmare un animale inquieto o un bambino piccolo ancora escluso dall’uso della lingua, ciò accade perché la voce ha un potere indipendente dalle parole. Il bambino nell’utero percepisce la voce e non il linguaggio. La voce è una forza archetipica” (A.Giuliani, La Repubblica, 30.10.92)
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4. Consigli pratici in breve
• Non spingere il ventre in avanti durante il canto
• Non irrigidire gli addominali e non bloccare il diaframma
• Fare moderati esercizi ginnici per tonificare i muscoli del cingolo addominale: assolveranno meglio al loro ruolo di sostegno e la voce risulterà meno velata e più intensa
• La laringe è un organo mobile: il miglior funzionamento lo si ottiene non eccedendo nelle posizioni troppo elevate o troppo abbassate. Controllarne la posizione toccando ai lati il pomo d’Adamo
• Non cercare un timbro che non si ha. Non cercare un timbro troppo chiaro né troppo scuro. Significherebbe enfatizzare alcune zone di risonanza rispetto ad altre. L’equilibrio va ricercato ad ogni fase del canto. Dunque occorre cercare una buona distribuzione del suono nella complessità delle zone di risonanza
• Fa male sia cantare troppo forte che non abbastanza. Cercare il proprio volume naturale.
• Evitare l’attacco duro con colpo di glottide: dà un suono netto ma le corde risultano pericolosamente irrigidite
• Non corrugare il viso. Il canto corretto distende le rughe, non le evidenzia!
• Le affezioni agli organi genitali possono alterare la voce.
• Il periodo mestruale, la gravidanza e la menopausa possono rendere ipotonica la voce femminile. Questo effetto si combatte con una buona e costante tecnica vocale e con un buon equilibrio psichico. Le donne che non subiscono sensibili alterazioni negli stati sopra descritti, sono persone equilibrate ed utilizzano correttamente il loro apparato vocale
• I trattamenti ormonali nelle donne possono rendere la voce instabile e possono provocare abbassamento della tonalità
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Bibliografia essenziale
Accolgo la richiesta di un visitatore del sito e propongo quindi alcuni titoli sull’argomento voce.
Naturalmente non vuole essere una bibliografia esaustiva. Segnalo solo i libri che ritengo, personalmente, di un qualche pregio. Si tratta di una valutazione squisitamente soggettiva.
Sulla tecnica.
N. Mari, Canto e voce. Difetti causati da un errato studio del canto. Ricordi 1959
C. Dinville, La voce cantata. Collana di logopedia. Massons 1982
A. Juvarra, Il canto e le sue tecniche. Ricordi 1987
N. De Rose, Metodo di Canto Moderno, Ricordi 1991
Sui cantanti.
Billie Holiday, La signora canta il blues. Feltrinelli 1979
Caruso. Mille volti di un uomo moderno. Finespo 1993
Demetrio Stratos Alla ricerca della voce umana. di J.El Haouli ed. Auditorium
Sulla teoria.
L.Pigozzi, A Nuda Voce. Vocalità, inconscio, sessualità, Antogone Edidizioni, Torino, 2008,2009
I. Fònagy, Le basi pulsionali della fonazione, in Il Piccolo Hans 12, 1976 e 16, 1977
I. Fònagy, La vive voix. Essai de psycho-phonétique. Payot 1983, 1991
C. Bologna, Flatus vocis. Metafisica e antropologia della voce. Il Mulino 1992
A. Tomatis, L’orecchio e la vita. Baldini e Castoldi 1992
A. Cappelletti, Il profumo del jazz. Ed.Scientifiche Italiane 1996
R. Steiner, L’essenza della musica. Ed.Antroposofica 1993
J. E. Berendt, Il libro del jazz. Garzanti 1973
W. Mauro, La storia del jazz. Newton 1994
A. Baricco, l’anima di Hegel. Una riflessione su musica colta e modernità. Garzanti 1992
E. Fubini, L’Estetica musicale dal Settecento ad ogg. Einaudi 1968
B. Lupo, art. Voce, in Dizionario enciclopedico universale della musica e dei musicisti, Utet, 1980
V. Mathieu, La voce, la musica e il demoniaco. Ed. Spirali 1983
G. Morgelli, Musica e Trance. I rapporti fra musica e i fenomeni di possessione. Einaudi 1986
Gianluca Capuano, I Segni della voce infinita, Jaca Book, Milano, 2002
Carlo Boccadoro e Gaia Varon, L’Esperienza Musicale. Per una fenomenologia dei suoni, a cura di Luca Nostro, Manifestolibri, Roma, 2002
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SEMINARIO SULLA VOCE di LAURA PIGOZZI
Organizzazione: di Daniela Caggiano
15 MARZO 2003
CIRCOLO CULTURALE LINEA MUSICALE di BRA
Trascriviamo qui di seguito la sbobinatura della registrazione del seminario di Laura Pigozzi, tenuto a Bra il 15 marzo scorso.
LAURA PIGOZZI: Buongiorno e benvenuti. E’ una vera gioia vedere tante persone giovani. Dunque, come procedere? Potrei parlarvi della voce per giorni interi, “stonandovi” completamente, ma evidentemente non lo voglio fare. Vorrei invece fare insieme con voi un percorso mirato alle vostre esigenze, curiosità, dubbi e a tutto quello che avete necessità, bisogno e desiderio di sapere sull’argomento voce. Quindi direi che possiamo insieme fare un discorso interattivo: sulla base delle domande io costruisco un discorso in modo da potervi rispondere, inserendo nella spiegazione anche quelle che sono le basi teoriche della voce, sia funzionali che di comunicazione e di passaggio dell’emozione. Allora vediamo se ci sono dei primi coraggiosi che vogliono cominciare a fare delle domande, in modo da poter avviare un dialogo comune.
MARIO ARMANDO: io canto sia in un coro polifonico che gospel e faccio serate. Ho notato, ascoltando Sanremo ed altri concorsi, che ci sono molti cantanti con voci anche bellissime, ma che danno poca importanza alla tecnica vocale, perché dicono: ”tanto ho la voce, la tecnica non mi serve” …anche nel coro è così non si vuole mai fare riscaldamento per esempio… come mai questa cosa? C’è poca cultura in Italia? Oppure qualcuno si sente superiore e pensa di non aver necessità di fare tecnica?
LAURA PIGOZZI: Ti ringrazio molto per questa domanda così importante. Se ci fossimo mai visti prima (ma è la prima volta che ci incontriamo), sembrerebbe quasi “preparata” perché è proprio la classica questione da inizio seminario! La questione della tecnica è infatti la questione centrale, nel senso che purtroppo la tecnica in Italia è un argomento ingiustamente considerato di secondo piano, nel senso che si tende a privilegiare -come diceva giustamente Mario- l’individualismo vocale – non nel senso dell’unicità della voce, di cui parleremo – bensì nel senso più deteriore del `fai da te’. Una voce che si utilizza per cantare in maniera continuativa, non può essere lasciata senza un supporto tecnico adeguato, pena l’andare incontro a deterioramento, anche in tempi brevi. E’ vero anche nei cori c’è la cattiva abitudine di non fare spesso un sufficiente riscaldamento. Il riscaldamento è invece fondamentale: dovete pensare alla vostra voce come un organo, in un certo senso, atletico. Nessun atleta si sognerebbe mai di fare una gara senza essersi prima riscaldato i muscoli. Lo stesso vale per la voce: non ci si può mettere a cantare con uno strumento freddo, perché questo darà al nostro canto povertà di suono e alle nostre corde vocali un inutile stress. Gli stress si accumulano e fanno ammalare la voce. Spiace dirlo ma fa parte del malcostume italiano quello di considerare la tecnica qualcosa di superfluo. La tecnica è fondamentale. Le cantanti americane passano ore in allenamenti quotidiani. Le nostre cantanti purtroppo no. E si sente. Noi in Italia abbiamo delle ottime scuole, abbiamo delle/degli ottime insegnanti, ma spesso snobbate da chi canta. C’è da dire che chiunque cominci a cantare in maniera professionale o semiprofessionale, ed in ogni caso continuativa, sente il bisogno del supporto della tecnica, sia per stancarsi meno che per evitare effetti nocivi. La voce è un dono, certamente, ma proprio per questo occorre onorare questo dono cercando di conservarlo, allenarlo, svilupparlo ed evitarne i deterioramenti. Perché chi non studia tecnica vocale non va lontano e può incorrere in seri problemi. Io ho visto con i miei occhi, all’ospedale di Melegnano (un piccolo centro vicino Milano), dove c’è un reparto di foniatria e logopedia all’avanguardia, ho visto, dicevo, cose terribili: ho visto ragazzi giovani, di 18-20 anni, con noduli, alcuni da operare, altri no, ma per tutti c’era un percorso difficile e doloroso che imponeva un arresto dell’attività vocale per un certo periodo ed un lungo training di ristabilimento. Ma ho visto anche casi in cui le condizioni dell’organo vocale erano tali da lasciare poche speranze sul proseguimento dell’attività canora.
La voce è un dono e va curata perché…. noi non siamo nati per cantare! E’ questa, mi rendo conto, una formulazione un po’ provocatoria. Mi spiego meglio. La laringe è un organo che, sul piano biologico, non è nato per cantare, ma con altre funzioni:
• la laringe è l’ultima parte della trachea, ha dunque un’evidente funzione respiratoria, per prima cosa;
• ed ha una seconda funzione: è dotata di un meccanismo di occlusione automatico che ci permette di non fare entrare il cibo nei polmoni – quando questo succede diciamo che “è andato qualcosa di traverso” – quindi ha una funzione definita sfinterica;
• questa occlusione sulle corde vocali provoca anche una pressione interna al corpo: significa che noi utilizziamo l’accollamento delle corde vocali tutte le volte che facciamo uno sforzo, come sollevare un peso e nell’espletamento della funzione defecatoria, che si attiva appunto anche con l’occlusione della laringe.
Quindi si può dire che l’uomo che ha sviluppato il canto come prodotto più `culturale’ che `naturale’. Il canto dunque non è una funzione naturale ed è per questo che la tecnica deve insegnare alle corde ed al corpo come lavorare. Questo il primo motivo per cui è necessaria la tecnica.
Il secondo motivo è che imparare a cantare significa imparare a respirare. O meglio `reimparare’ a respirare: occorre in qualche modo ripristinare una funzionalità respiratoria, che è quella del neonato. Il neonato ha una voce potentissima se pensiamo alla sua dinamica vocale, al volume di questo esserino piccolissimo, non c’è proporzione con la voce espressa dal corpo di un adulto. Cioè ha una voce che è spropositata, dal nostro punto di vista di corpo adulto, rispetto al suo corpicino di bambino. Questo perché il neonato usa tutto: il diaframma, i polmoni che vengono riempiti completamente; usa tutto alla massima potenza. Canta, o meglio urla, usa la voce insomma con tutto il corpo, esattamente come si dovrebbe fare. Questa capacità che è naturale, nel corso della vita delle persone si spegne. La nostra vita è fatta di ritmi innaturali che producono stress e questa fretta porta la respirazione alta, cioè ci permette di respirare solo con la parte cosiddetta clavicolare dei polmoni, mentre dobbiamo invece cercare di riempirli completamente. La tecnica, dunque, serve a ripristinare una funzione che l’adulto ha perduto, cioè la capacità di cantare con tutto il corpo. Quindi si capisce bene che una persona, anche vocalmente dotatissima, se non studia bene la tecnica, non darà mai tutto ciò che può dare; secondariamente può utilizzare male questa sua capacità di base perché non è in grado di utilizzare l’appoggio del suono, che è una cosa molto complicata ed il cui apprendimento richiede l’insegnante vicino che controlla e assiste affinché l’esercizio sia corretto. Il riscaldamento è indispensabile ma il primo passo della tecnica è la respirazione, per imparare a riempire bene i polmoni, distendere bene il diaframma in modo che possa essere la base per l’appoggio del suono.
La terza funzione della tecnica è quella di estendere la voce. Noi nasciamo soprani, mezzosoprani, baritoni, contralti, ecc..nasciamo con delle corde vocali particolari, chi più sottili, chi più grosse, chi più corte, chi più lunghe, ecc… questa conformazione delle corde ci determina come tipi canori però, anche qui, purtroppo, l’evoluzione della nostra vita, può avere un po’ cancellato quelle che sono le nostre caratteristiche di base, per cui non è raro trovare dei soprani che sono occultati dietro contralti o dei tenori che sembrano dei baritoni, … quindi la tecnica serve a svelare la propria identità vocale e la svela proprio nel momento in cui riesce a mostrare fin dove la natura delle corde può arrivare. Dico questo soprattutto per le donne vittime di un certo mal costume vocale: spesso, anche a lezione, arrivano ragazze, che a tutti i costi vogliono arrivare al `mitico’ DO5! Non è detto che il DO5 sia sempre una conquista perché, se non si hanno le corde adatte, ci si arriva solo a corde tirate e non, come dovrebbe essere, con una voce ricca di armonici che ammorbidiscono il suono. Ed ora, anche tra i ragazzi, purtroppo, si assiste al proliferare di questa tendenza. Ognuno deve invece coltivare e ritrovare, attraverso la tecnica, la propria voce perché è con quella che si deve cantare ed è con quella che, eventualmente, ci si può far strada nel mondo della musica. Questo non vuol dire arrivare a Sanremo, ma significa, più `sanamente’, trovare il proprio posto nella musica. Ognuno ha la sua “grana” di voce e questa va rispettata.
MARCELLA BALESTRO: Un bambino, per non perdere questa capacità naturale, a che età deve cominciare a prendere lezioni?
LAURA PIGOZZI: I bambini sono meravigliosi perché loro sanno senza saper di sapere. Non hanno bisogno di tecniche specifiche. Quindi è meglio invitare un bambino a frequentare un gruppo di canto, possibilmente impostato sul gioco, in modo che alleni la voce senza pensare alla performance: avrà tutta la vita per pensarci!
I bambini sono oggi troppo tartassati: hanno la scuola di equitazione, la scuola di ballo, ecc… facciamogli fare meno attività e soprattutto in maniera più ludica e non in maniera performativa. Insegnare ai bambini la performatività, cioè il dover dare una prestazione, possibilmente competitiva, non è consigliabile: occorre farli apprendere facendoli giocare. Mi riferisco anche alla ragazzina di 12 anni che, inopportunamente, ha dichiarato a Sanremo, che ha cominciato a studiare tecnica vocale da quando aveva 6 anni. Questa cosa è terribile intanto perché a sei anni non hai ancora bisogno della tecnica degli adulti. Probabilmente avrà fatto scuole di canto dove giustamente l’hanno fatta giocare con la voce, attraverso filastrocche, che poi alla fine sono sempre strutturate su vocalizzazioni, solo che anziché fare un vocalizzo senza parole, come gli adulti, il bambino può cantare una storia. Quindi la tecnica che questa bambina ha fatto, spero per lei, probabilmente non è la tecnica come la intendiamo normalmente per gli adulti. Altrimenti sarebbe terribile, anche sul piano umano. I bambini hanno la capacità naturale di avere una voce sana. Occorre quindi creare un ambiente dove possano giocare con la voce, sperimentarla e tenerla in allenamento. Inoltre il fatto di non stressarli tecnicamente e performativamente, li rende più sereni e più lontani dalla voce contratta e dalla respirazione alta che affligge tanti adulti. Creiamo a questi bambini un humus più naturale: si hanno 6 anni una volta sola!
ARMANDO MARIO: … in effetti anche per gli adulti è pesante la tecnica… Per esempio quando faccio le prove con il coro nessuno vuole mai fare i vocalizzi…
LAURA PIGOZZI: Effettivamente cantare bene presuppone un lavoro. Cantare è facile, cantare bene è molto difficile perché tra il cantare e il cantare bene c’è un lavoro da fare. A maggior ragione se gli adulti fanno fatica a vocalizzare figuriamoci i bambini! Facciamoli giocare perché stanno facendo ugualmente tecnica mentre giocano. Non snaturiamoli troppo con i nostri bisogni, perché spesso sono i nostri bisogni di adulti che proiettiamo sui nostri figli. E questo non va bene per noi, e tanto meno per loro.
ENNIO CANU: Purtroppo mi sono imbattuto in insegnanti che non mi hanno dato quello che avrei voluto, probabilmente perché la loro preparazione di base era diversa da quella che io mi aspettavo, quindi ho avuto anche false promesse che sono poi in cadute nel nulla. Tecnica va bene, ma qualunque tecnica, relativa a qualunque genere? Per quel che ho potuto vedere, ogni insegnante spiega una cosa in modo diverso dall’altro; perfino la respirazione l’ho fatta in modi diversi ed è una cosa che mi ha completamente disorientato. Poi un’altra domanda: la tecnica deve essere strettamente legata alla scelta di un genere? La tecnica jazz non sarà come quella lirica o come quella destinata a chi vuole cantare soltanto pop o heavy metal.
LAURA PIGOZZI: Io vi ringrazio: fate delle domande veramente intelligenti. Occorre dire subito una cosa importante sull’insegnamento del canto: il fatto che la tecnica possa venire spiegata in maniera diversa – a prescindere dall’improvvisazione che può esserci nel settore – dipende anche dalla natura intrinseca dell’organo vocale. A differenza di altri strumenti – una chitarra, un piano, una batteria – dove io vedo lo strumento e sono in grado di operare su di esso (se sul pianoforte schiaccio un tasto, ottengo esattamente la nota che avrei voluto ottenere), con la voce questo non si può fare. E’ molto faticoso per un cantante nel senso che la voce è sì una cosa naturale (si può cantare senza conoscere la musica, per quanto sia sempre meglio conoscerla!), ma è anche qualcosa su cui non esercito un controllo diretto. La voce non si vede e non si tocca. Occorre lavorarci per interposizione della nostra capacità di immaginare e di simbolizzare. Ecco dunque il fiorire di metafore per spiegare sensazioni propriocettive di difficile individuazione. Un’abilità dell’insegnante consiste dunque anche nel sapere utilizzare o inventare metafore efficaci.
Una volta un allievo mi ha detto: “la mia insegnante precedente diceva di spingere sugli acuti come quando vado al gabinetto, e io non capivo …”…(risa nel gruppo)…capite bene l’infelicità di questa metafora…. Suppongo che questa insegnante voleva semplicemente dire che per produrre un acuto è necessario che le fasce muscolari della pancia siano tenute, questo non vuol dire comunque spingere, ma tenere.
ENNIO CANU: una volta un’insegnante mi ha spiegato l’acuto non come una ricerca verso l’alto ma come una ricerca all’indietro, come l’andar su un’altalena, perché diceva, in fondo le corde vocali, nel momento in cui cercano l’acuto non salgono ma basculano. Qundi creare mentalmente l’idea dell’altalena secondo questa insegnante dovrebbe agevolare nella ricerca dell’acuto.
LAURA PIGOZZI: C’è certamente una buona intenzione nella metafora usata dalla tua insegnante, nel senso che esplicita i movimenti laringei. Però noi non abbiamo una sensibilità laringea così forte da condizionarne il movimento e, se posso permettermi, creare una metafora diretta sull’organo può risultare inefficace sul piano pratico. Secondo me, la metafora va creata non tanto sull’organo, che tanto tu non senti, ma su esempi presi dalla vita quotidiana, dopo ve ne farò qualcuno.
Per tornare alla prima domanda di Ennio, diciamo che la respirazione di base corretta è una sola, la facciamo noi, la fanno gli insegnanti di yoga, ed è quella che tiene conto della fisiologia del corpo umano. In più per i cantanti si tratta oltre che di riempire bene i polmoni, anche di aprire lateralmente la cassa toracica. Ecco vi faccio uno schemino alla lavagna: tronco, collo, laringe, polmoni, diaframma….il diaframma deriva il suo nome dal fatto di separare le parti alte `nobili’, da quelle `basse’…(risatine nel gruppo…)
FLAVIO PIOVAN:…parti inutili nel canto……
LAURA PIGOZZI:..eh, non tanto….
ENNIO CANU:..noi possiamo percepire le vibrazioni armoniche con qualunque parte del corpo….
LAURA PIGOZZI: esatto. Ci sono a questo proposito degli esercizi che arrivano dall’oriente. Non è necessario essere fanatici dell’oriente, per constatare che la cultura orientale tiene maggiormente conto di alcune parti del corpo. Nella tradizione tantrica, ad es, alla copulazione pertiene un certo modo di respirare. Ci sono degli esercizi che noi facciamo, che provengono da quella tradizione e che ho raccolto nei miei viaggi in Oriente ed in particolare inTibet. Non so se avete mai avuto modo di ascoltare i monaci tibetani. Loro hanno dei bassi così incredibili, che quasi non si capisce da dove provengano e che fanno vibrare anche chi ascolta. Gli esercizi presi da questa tradizione, aiutano a far vibrare le varie parti del corpo, tra cui il pube appunto: per esempio la nota Do3 farebbe vibrare proprio questa zona. Questo significa anche certamente avere un rapporto più naturale e più sano con il nostro corpo. Ci sono delle corrispondenze tra parti del corpo e le frequenze delle note musicali. Questo aiuta la voce.
Chiudiamo questa parentesi e ritorniamo alla domanda di Ennio su respirazione e tecniche diverse.
Parliamo della respirazione. Quando inspiriamo, l’aria che entra deve riuscire a scendere e riempire bene i polmoni. La gabbia toracica si apre lateralmente, aiutata in questo movimento dai muscoli dorsali, e il diaframma, disponendo, così di più spazio, si distende. Quindi il diaframma, che solitamente sta a forma di cupola, avendo più spazio lateralmente, si può distendere. Questo è importante perché, cosa succede? Ve lo spiego con una metafora: diventa una specie di vassoio che sostiene la colonna del suono. Quando il suono è così “appoggiato”, si può tenere un acuto, un finale, fare delle scale abbastanza comodamente, fare cioè tutte quelle cose difficili che necessitano di una sicurezza e quindi un appoggio.
L’aumento dell’estensione della voce, insieme alla corretta respirazione, è un altro obiettivo comune a tutti i generi. Parliamo ora dell’intonazione: spesso pensiamo di essere intonati perché ci vengono bene alcune canzoni. E’ buona cosa testare questa intonazione provando anche a cantare altri generi. Infatti chi viene a lezione da me o da Daniela, sa che deve passare da questa forca caudina: deve provare a cantare qualunque cosa, dal pezzo lirico, al jazz, al blues, al pop, al rock. Ci sarà senz’altro un genere che riesce meglio, ma bisogna provare a cantare qualunque cosa ed in modo decente. Per esempio oltre ai classici esercizi ad intervalli regolari (ad es. 135, cioè tonica terza e quinta), è molto utile far fare esercizi con intervalli irregolari per far sì che si alleni l’orecchio melodico e per migliorare l’intonazione `fine’ del cantante. Sulla questione intonazione, occorre rilevare che le donne hanno un problema in più durante il ciclo mestruale, periodo in cui sono sottoposte a tempeste ormonali e questo fa si che la loro voce possa essere sfibrata e calante, ovvero l’intonazione può non essere perfetta, ed è per questo che in quei giorni occorre utilizzare la tecnica in maniera ancora più efficace.
Lavorare su respirazione, estensione e intonazione è identico per tutti i generi di canto. Poi però, ad un certo punto, si aprono delle differenze.
Per capirci meglio parliamo anziché di tecniche differenti, di differenti qualità della voce. Cioè, uno che ha un’impostazione lirica può anche cantare pop, Bocelli per esempio lo fa, quanto al risultato, è una questione di gusto. Si può dire che i lirici fanno più e meno fatica dei moderni. Fanno più fatica nel senso devono far lavorare di più la loro laringe, però non hanno il problema del passaggio, difficilissimo scoglio del cantante moderno e jazz.
Parliamo dunque delle diverse qualità della voce.
Qualità parlata. Come dice la parola, è quella usata quando parliamo. E’ pure caratteristica, per esempio, dei cantautori, che puntando di più sulla significazione del testo e meno sulla vocalizzazione, possono tranquillamente usare la qualità parlata.(es. Battisti, De Andrè, il rap …). Ed è usata sempre, da qualunque cantante quando sta nel registro medio, medio-basso. Qui la laringe è nella sua posizione naturale.
Cos’è la laringe? La laringe è un organo mobile formato da cartilagini e al cui interno sono collocate le corde vocali. Che a loro volta, accollandosi, vibrano con un movimento che ricorda il battito d’ali delle farfalle. Questo movimento è quello che produce il suono, trasformando l’aria che passa tra le corde. Quando le corde vocali sono staccate siamo in silenzio e stiamo respirando. Quando sono accollate e vibrano, stiamo producendo suono. La laringe è mobile nel senso che è un organo che può muoversi verticalmente rispetto al cavo faringeo e basculare. A seconda della posizione che assume, avremo delle qualità vocali differenti. La voce parlata viene anche chiamata voce piena.
Prima di passare alle altre qualità della voce, apro una parentesi sulla questione delle casse armoniche, della testa e del petto. Per usare una metafora, si può dire che noi suoniamo in stereo, abbiamo due casse in un certo senso `specializzate’: una specializzata maggiormente sugli alti (testa) e una sui bassi (petto). Queste due casse sono connesse dal collo. Un buon suono, di qualunque altezza, è un suono che contiene sia alti che bassi. Perché l’estensione è importante? Perché se io estendo bene gli alti, avrò dei bassi più nitidi, più sonori. E, di converso, se estendo bene i bassi, anche i miei alti saranno più corposi, meno striduli, per intenderci. E’ come se noi cercassimo di pensare il nostro corpo come una specie di violoncello. Il collo purtroppo è una zona di tensione pazzesca (è anche uno dei motivi per cui tanta gente soffre di forme di cervicale). Quindi la prima cosa che occorre fare è rilassare chi canta. Chi canta bene è una persona rilassata e la respirazione serve anche a questo. E’ per questo motivo che bisogna evitare la “prestazione” nei bambini perché crea loro solo tensione: dobbiamo insegnare il `godimento’ del canto al bambino, non la performance.
Così, tutto il lavoro della respirazione, del passaggio, della tecnica deve servire anche ad aprire il nostro collo, a liberarlo dalle tensioni in modo che la nostra laringe possa lavorare bene e in modo che il nostro suono sia `comunicante’, cioè prodotto da casse armoniche in comunicazione. Se il nostro collo è rigido non avremo mai un buon suono. I nostri alti saranno orribili (provate a togliere i bassi dal vostro stereo e vedrete come vi assicurerete in breve tempo un bel mal di testa…). Quello che dà la piacevolezza del suono sono sempre i bassi, ciò che dà la brillantezza sono gli alti. Quindi smettiamola di cercare ossessivamente di andare sempre più in alto ed impariamo a non maltrattare i nostri bassi, a lasciarli vibrare aprendo e distendendo il nostro collo. Questo collo va aperto altrimenti sarebbe come inserire in un violoncello una tavoletta di legno trasversalmente…
La qualità parlata è una qualità che tiene il collo senza tensioni, perché non c’è fatica. I problemi arrivano dopo. La seconda qualità della voce è la:
Qualità opera o qualità lirica. Viene anche chiamata voce girata o impostata; è ottenuta con la tecnica tradizionale; la laringe è in posizione basculata.
Queste sono le due qualità fondamentali e vanno studiate entrambe, da tutti. Arrivati a questo punto i lirici vanno avanti su questa strada e lavorano solo a laringe basculata, mentre per i cantanti moderni le cose si complicano, perché quello che noi usiamo, soprattutto nei passaggi impegnativi è la:
Qualità mista, che è la madre di tutti i problemi! Per raggiungere questo obiettivo ci vuole il suo tempo e non è per tutti uguale. E’ la qualità che si usa sul passaggio. Il passaggio, che è in un punto diverso per ognuno, è quel gruppo di note, generalmente non più di 2 o 3 semitoni, dove la voce non sa che fare: o si va in lirico, ed è eccessivo, o in parlato ed abbiamo un suono inascoltabilmente stridente. Ci sono persone che hanno una buona qualità lirica, una buona qualità parlata, ma sul passaggio non sanno che fare o vanno in lirico ma è troppo presto, o vanno `in parlato’, provocando noduli e problemi.
ENNIO CANU: rientra in questo discorso del passaggio, il virtuosismo e l’agilità vocale, ad es. penso a M. Carey? E che esercizi si utilizzano, quelli con intervalli irregolari?
LAURA PIGOZZI: Tutto il canto moderno non è fattibile se non attraverso lo studio del passaggio.
Per lavorare sul passaggio ci sono degli esercizi specifici che lavorano su delle emissioni vocali dove si usano specialmente le sillabe “VI” e “VO”, perché la “V” aiuta moltissimo a mettere il suono avanti alto, cioè direziona il suono, purchè ben pronunciata. Ci sono quindi degli esercizi specifici per il passaggio: generalmente sono noiosi, difficili e frustranti. Comunque vanno fatti, fino alla nausea.
Se si vuole cantare bene non c’è alternativa ma soprattutto bisogna accettare la frustrazione. La frustrazione va messa in conto. Se non vi sentite un po’ frustrati vuol dire che non state imparando.
LETIZIA COLLA: Mi sono sempre chiesta se le cantanti come W.Houston e M.Carey hanno una voce molto potente perché sono dotate naturalmente. Volevo sapere se l’estensione è una dote prima di tutto innata e poi con la tecnica si migliora oppure solo con la tecnica si può arrivare a fare certe cose? Riguardo al passaggio se io non ci arrivo a fare un acuto di gola ma devo passare in testa questo passaggio non si deve sentire? Queste cantanti che ho citato hanno un dono naturale da non aver bisogno di fare tecnica o utilizzano la tecnica del passaggio?
LAURA PIGOZZI: Qualcuno di voi scia? Solo due? Allora, è come nello sci: c’è chi nasce ben dotato c’è chi deve imparare sudando di più. Ovviamente c’è una fisicità di base, cantare è una cosa corporea, quindi il corpo c’entra, eccome. Ed il rapporto che abbiamo col nostro corpo c’entra con il canto. Non si canta con la gola, si canta con il corpo…
ARMANDO MARIO: Quanto conta la struttura fisica? Una buona struttura fisica aiuta? Mina, ad esempio?
LAURA PIGOZZI: Sì, può aiutare ma non è così determinante. Quello che è determinante è il rapporto col proprio corpo. Quando Mina si è ritirata dalle scene -questa è la mia ipotesi- non è tanto perché era grassa…una col suo fascino se ne poteva certo fregare (la Fitzgerald non era certo bella ed esile ma quando cantava aveva il mondo in ginocchio). Forse Mina si è ritirata quando il rapporto col suo corpo è esploso in una crisi incontenibile. Ma questa è puramente la mia ipotesi.
E’ sempre importante avere un buon rapporto con il corpo per poter cantare bene ed anche per poter stare in scena. Anche la presenza scenica è importante. Anche qui qualcuno già ce l’ha e qualcuno invece deve trovarla. Come per tutte le cose: si nasce già con una dotazione che va potenziata. Per esempio, a volte uno pensa di essere un soprano e magari canta strozzata e si riscopre essere invece un magnifico contralto, ed è meglio essere un buon contralto che un cattivo soprano. Oggi poi le tradizionali classificazioni non sono più attendibili perché le voci degli uomini in questi ultimi 30 anni si sono alzate moltissimo e quelle delle donne si sono abbassate: se vi capita di ascoltare un vecchio film vi accorgerete immediatamente di questo. La cosa importante è che ognuno trovi la sua dimensione del suono.
Torniamo al passaggio, anche per completare la risposta alla domanda di Letizia. Quando cantiamo pezzi di musica moderna, ci accorgiamo che quasi sempre gli acuti arrivano esattamente sulla zona del passaggio. E’ quindi impensabile non affrontare questo argomento.
Se per una cantante alle prime armi il passaggio comincia ad arrivare tra il La3 e il Do4, per una cantante un po’ più esperta arriva fra il Do4 e il Mib4, per le più dotate magari tra il Mib4 e il Fa#4 (molto raro). Aumentando l’estensione si sposta in alto automaticamente anche il passaggio.
FLAVIO PIOVAN: Si intende un passaggio di tonalità?
LAURA PIGOZZI: Non è un propriamente un passaggio di tonalità, perché si ha anche quando la tonalità in un pezzo non cambia. Si chiama passaggio perché indica le note di passaggio tra quelle da prendere in qualità parlata (laringe `normale’) e quelle da prendere in qualità lirica (laringe `basculata’). Nelle note di passaggio dunque il movimento della laringe che passa dalla posizione `normale’ a quella `basculata’, deve attestarsi ad una posizione intermedia. E’ questa la cosa difficile, proprio perché la laringe non è un organo che si può comandare con un effetto di immediatezza. Si comincia a bascularla correttamente già dopo due o tre mesi di studio, ma la cosa difficile è poi la posizione intermedia che dà come effetto la qualità mista. Questo si fa per ottenere un certo tipo di suono, cioè un suono limpido come la voce parlata e pieno di colore e potenza negli acuti, come della voce lirica. La voce mista che si ottiene in questo modo, evita l’acuto strangolato. Questo è un argomento su cui non pensate di cavarvela con qualche mese di scuola.
GIUSEPPE COLUCCIO: C’è un’età per cominciare a studiare canto?
LAURA PIGOZZI: A parte i bambini la cui voce va tutelata, come si diceva prima, si può iniziare a studiare canto ottenendo buoni risultati a qualunque età. Qualche mese fa è uscito un disco di una mia allieva cinquantenne. Questo per dirvi che non c’è età per cominciare e per avere soddisfazioni canore. Si è sempre tempo. Lei ha iniziato con me 4 anni fa. Per esempio è bellissimo lavorare con le persone che vanno in pensione, che hanno finalmente di nuovo tempo di gustarsi la vita e fare cose che magari hanno sempre desiderato fare. Effettivamente è anche molto soddisfacente insegnare a queste persone. L’unico vero problema è quando si vogliono far fare gli adulti ai bambini, questo no, va impedito.
Parliamo ora di altre tecniche.
Avete mai sentito parlare del Voicecraft?
ARMANDO MARIO: ho frequentato un corso di Voicecraft che è durato un anno con Demo Roberto, un patito del jazz, l’unico genere che a me non piace molto, ma è stato molto interessante perché ti spiega come sei fatto dentro..
LAURA PIGOZZI: e cos’altro hai imparato? L’evoluzione della tua voce qual è stata?
ARMANDO MARIO: La conosci meglio e la sai usare meglio…
LAURA PIGOZZI: E come qualità vocale cosa ti è sembrato sia cambiato?
ARMANDO MARIO: La voce è più calda c’è più colore, non è il classico acuto freddo e il basso è bello pieno.
LAURA PIGOZZI: Bene. Un’altra domanda: hai trovato che rispetto alle tecniche precedenti c’è un lavoro corporeo maggiore?
ARMANDO MARIO: Si!
LAURA PIGOZZI: Il Voicecraft è una tecnica nuova e interessante. Anche se osteggiata da parte dei puristi del canto. Con questa tecnica si ottiene la qualità belting ovvero un acuto non in voce mista (passaggio), ma in voce piena. Con laringe in posizione normale o seminormale. In questo caso le corde sono molto strette compresse ed è una tecnica che fa molto uso di sforzo corporeo. Si tratta di una qualità molto in voga oggi e molti cantanti la utilizzano. E’ una qualità però che – a mio avviso – non tutti possono approcciare perché è una tecnica un po’ pesante sulle corde vocali. E’ una tecnica che andrebbe un po’ dosata, quindi è, a mio parere, più utile farla a completamento di un percorso di studio, piuttosto che all’inizio. Dunque, Voicecraft sì, ma con prudenza. Cosa ne pensi, Mario?
ARMANDO MARIO: si, sono d’accordo. Dopo un anno ho smesso per motivi di lavoro e perché era molto impegnativo..
ENNIO CANU: non mi è tanto chiaro l’acuto voce piena. Per esempio quando Celin Dion fa un acuto e lo sostiene, il modo in cui lo sostiene lei sembra sia fatto naturalmente.
LAURA PIGOZZI: certamente lo sostiene, a mio parere usando la qualità mista della voce. Quando è fatta bene la qualità mista non si sente, non si distingue dalla voce normale. E’ infatti questo l’obiettivo del lavoro sul passaggio. Il passaggio va cancellato in modo che la voce piena non si distingue da quella mista. La vera difficoltà è lavorare bene il passaggio.
VALERIA BELLA: Io canto in due gruppi e spesso mi succede di dovere fare molte prove anche per 4 o 5 ore di seguito e a volte provo tutti i giorni. Ci sono dei giorni in cui arrivo alla fine con un gran mal di gola, può anche venirmi l’afonia, nel senso che la voce mi esce afona. Allora mi sforzo o altrimenti devo alzare di molto i microfoni. Allora volevo sapere se è solo una questione di respirazione – non avendo io alcuna tecnica, non uso il diaframma – oppure se può dipendere anche una cosa nervosa. Io somatizzo parecchio, infatti ho problemi di schiena, dolori muscolari ecc…
LAURA PIGOZZI: Che genere fai?
VALERIA BELLA: Mi sono molto dedicata al genere melodico, ma adesso sono in un gruppo pop rock e in nell’altro faccio progress, ma mi piace tutto. A casa, tanto per scaldarmi, canto soprattutto Giorgia che mi piace molto.
LAURA PIGOZZI: Allora ragazzi, 5 ore di sala prove scordatevele! Quanti pezzi hai in repertorio?
VALERIA BELLA: Adesso circa quindici, ma c’è sempre qualcosa da mettere a posto, infatti spesso dico ai musicisti di provare il pezzo solo strumentale …
LAURA PIGOZZI: Brava. I nostri musicisti vanno un po’ “educati”, nel senso che non essendo la voce il loro strumento, possono non sapere quanto delicata sia la voce. Se a loro provare 10 volte un pezzo fa solo bene all’agilità delle dita, a noi no…
VALERIA BELLA: è vero! Invece loro dicono tanto anche a te fa bene usare la voce.. ma cinque ore…
LAURA PIGOZZI: No, non è così che si educa una voce, non è così che si fa. Certamente non in sala prove e per 5 ore di fila. Innanzitutto così tante ore di sala prove non si fanno, gli strumentisti possono anche provare per conto loro un pezzo che va ripetuto. Puoi aiutarti alzando molto il microfono. Questa è un’altra cosa importante: imparate ad usare il mixer perché nei gruppi è raro che un musicista alzi il canale della voce. Ciascuno alzerà quello del proprio strumento e, a meno di non avere a disposizione sempre un bravo tecnico del suono, a voi toccherà urlare.
VALERIA BELLA: Io smetto di cantare quando alzano troppo i loro volumi…
LAURA PIGOZZI: Perfetto! Tu usa una voce piana non urlata se loro hanno bisogno di capire l’andamento melodico..
VALERIA BELLA: Sì, infatti loro dicono anche che senza linea vocale è difficile …
LAURA PIGOZZI: Se ogni singolo pezzo lo rifai una volta o due, pur avendone per es. quindici, ne canterai venti o anche di più.
Detto questo, naturalmente, se tu hai due gruppi e poi anche le serate e non fai tecnica….. io ti caccio!!!
…risate nel gruppo…
VALERIA BELLA: Sì, è vero. Io canto da quando avevo tredici anni, adesso ne ho ventidue e ho perso, ho perso da allora. Non riesco più a fare dei pezzi che facevo quando avevo quindici anni. La voce adesso è diversa.
LAURA PIGOZZI: La voce, crescendo, cambia. Ma tecnicamente, se seguita, migliora. Per esempio l’estensione di una cantante matura, che studia, è più ampia di quella che la stessa cantante aveva nell’età dell’adolescenza.
VALERIA BELLA: Io sento di avere la voce ma a volte non riesco a tirarla fuori, a volte mi sembra bloccata, ed è molto frustrante.
LAURA PIGOZZI: Bisogna studiare. Anche studiare è frustrante, nel senso che è impegnativo e i risultati vanno conquistati. Però è una frustrazione che porta poi alla gioia di una voce che ci segue in quel che vogliamo farle fare. Mentre senza studio, una voce che viene sfruttata a lungo, perde tutto, si sfibra, può velarsi, possono formarsi protuberanze tra le due corde, le corde stesse possono diventare ipotoniche… Quando si formano delle protuberanze tra le corde, l’accollamento tra loro non è più perfetto; si produce quindi un piccolo “sfiatino” che – si dice – “vela” la voce nel senso che si mischia troppo fiato al suono, cioè non tutto il fiato riesce a trasformarsi in suono. Il risultato è un suono che perde in limpidezza.
Ricordatevi che un conto sono certi effetti “soffiati” che si vogliono dare sul piano interpretativo, un conto è non poter cantare che con voce “soffiata”. In questo caso può esserci un problema.
Molti pensano che studiare canto sia cantare. Senz’altro un buon allenamento è cantare 20-30 minuti al giorno, ma non è sufficiente. Questo è una sorta di mantenimento tra una lezione e l’altra. La voce va allenata anche su parametri e intervalli diversi da quelli che il tuo genere ti porta a cantare. Inoltre argomenti come la respirazione e l’appoggio raramente possono essere affrontati da soli, senza una guida. Quando la voce è appoggiata si fa meno fatica a cantare. Una volta che imparate la tecnica dell’appoggio, la vostra voce vola e cantare risulta meno faticoso. Allora a quel punto potete anche permettervi di fare un pezzo in più. Se però arrivi a fine serata e non hai più voce, c’è qualcosa nella tua tecnica che non va.
VALERIA BELLA: Per fortuna il mattino torno a posto, però…
LAURA PIGOZZI: Certo, il sonno è il grande alleato della voce. Ricordatevi che chi canta bene, riposa bene … non ci sono altre strade: il canto è faticoso, la tecnica è una rottura di scatole, però se vogliamo preservarci la voce e migliorarla, dobbiamo studiare.
VALERIA BELLA: Io ascolto tanto e cerco di copiare non tanto il cantante ma la tecnica che usa.
LAURA PIGOZZI: Non puoi copiare una tecnica se non conosci le basi della fonazione, andrai per imitazione del suono. Ma non va bene: per esempio, quando io faccio lezione, non faccio quasi mai sentire l’esercizio all’allievo o lo faccio sentire una volta sola, altrimenti l’allievo imita il suono e non cerca il meglio del suo proprio suono.
Copiare un suono è non rendersi conto di ciò che l’apparato vocale fa per produrlo. Inoltre ogni apparato vocale, pur essendo funzionalmente identico, è differente sul piano della morfologia e dunque delle risonanze che producono un suono unico e diverso da tutti gli altri. Voi sapete che i più sofisticati sistemi di sicurezza sono basati sul riconoscimento vocale che sembra essere ancora più preciso dell’impronta digitale. Pensate a Shakespeare, la scena del balcone in cui Giulietta, nell’oscurità più totale, riconosce Romeo dalla voce. L’altro viene, cioè, riconosciuto solo dalla voce.
MARIO ARMANDO: A proposito di riconoscimento e riconoscersi, come mai quando ci sentiamo registrati non ci piacciamo quasi mai o non ci riconosciamo? Ci chiediamo sempre: “ma sono io”?
…brusio di assenso tra i partecipanti….
LAURA PIGOZZI: quando noi ci ascoltiamo, sentiamo sia con l’orecchio esterno, così come gli altri ci ascoltano, sia con l’orecchio interno, che raccoglie le vibrazioni interne del suono. E naturalmente ascoltandoci, mentre cantiamo o parliamo, la nostra voce ci pare più bella di quella registrata (che coincide piuttosto con quella che gli altri sentono), perché il nostro suono sentito da noi è arricchito anche dalle vibrazioni interne dell’orecchio. Operiamo dunque questa presa di coscienza: dobbiamo sempre sapere che, quando cantiamo o parliamo, l’altro sente un suono meno ricco di quello che noi pensiamo di emettere.
Quindi noi sentiamo anche le vibrazioni interne della nostra voce, cosa che gli altri non sentono. Si ovvia a questo inconveniente con apparecchi tipo l’eco, che sono nati per dare questo tipo di supporto. Se noi ci registriamo con un registratore qualunque, distorsioni tecniche a parte, difficilmente ci piacciamo.
L’ultima qualità di cui volevo parlarvi, e che manca nella nostra carrellata sulle qualità vocali, è il Twaing che è la voce nasalizzata. Da non confondere col difetto della voce nasale che è, invece, da correggere. Molti e molte cantanti che arrivano alle loro prime lezioni di tecnica, cantano con il naso. Se la voce nasalizzata “selvaggia”, per così dire, è orribile, la nasalizzazione della voce come ricerca tecnico-interpretativa, viene molto usata nel canto moderno. E’ una questione di gusto, può piacere o meno, così come il “soffiato”. L’importante è non eccedere mai in artifizi tecnici e cercare di variarli il più possibile.
Spesso i cantanti alle prime armi spingono la voce nel naso perché, non sapendo come usare il diaframma, sostengono il suono nasalmente, ma così facendo, lo impoveriscono. Capite bene che un conto è sostenere un suono con il diaframma e un conto è sostenerlo con il naso… per quanto grande uno lo possa avere, si tratta sempre di una compressione del suono. In questi casi sono suoni piccoli, noiosi, fanno venire il mal di testa.
MARIO ARMANDO: Ci sono dei generi popolari dove si usa il naso…gli artisti cantano normalmente ma ad un certo punto staccano e cantano con il naso ed è una cosa bella.
LAURA PIGOZZI: Certo quando è una modalità ricercata da qualcuno che sa cosa sta facendo, il risultato è bello. Quando invece uno canta in questo modo perché non sa in che altro modo cantare, è un difetto che va corretto.
LETIZIA COLLA: C’è anche chi, di natura, ha un bel timbro di voce e non ha mai fatto tecnica. E ci sono alcuni casi in cui, studiando tecnica, hanno cambiato il timbro ed è come se fosse diventato un timbro, non so come dire, confezionato… Tutte le tecniche rischiano, se fatte male, di guastare il suono oppure ci sono tecniche e tecniche?
LAURA PIGOZZI: Allora, facciamo l’ipotesi che la tecnica insegnata sia corretta. La tecnica, ricordiamo, serve a tirar fuori la nostra voce. E la “nostra” voce non è necessariamente quella che sentiamo all’inizio dello studio. In realtà non sappiamo com’è la nostra voce veramente. Cosa succede quando noi cominciamo a studiare? Si comincia a lavorare sulla qualità lirica prima di lavorare sulla qualità mista, e questo per dare agilità e movimento alla laringe. La qualità lirica va poi abbandonata, o per meglio dire, trasformata per i cantanti moderni e jazz in qualità mista. Solo a questo livello, cioè quello di qualità mista, noi abbiamo ottenuto tutte le sfumature del nostro timbro. Ed è solo a questo punto che, di nuovo, lo riconosciamo come nostro. Se invece ci si arresta prima di arrivare a questo traguardo, quello della qualità mista, certamente il cantante sente una voce che non gli piace e che non riconosce. Ma è proprio qui che occorre andare avanti. E, purtroppo, questo è un punto dove molti cadono! Se ci si arresta a questo punto può capitare di avere due voci: un timbro per i bassi e i medi e uno diverso per gli alti!
Per quanto riguarda l’aver fiducia nella tecnica insegnata, è vero che ci sono delle tecniche non corrette e non rigorose, ma imbattersi in un cattivo insegnate non è un rischio maggiore che imbattersi in un medico mediocre. Sono cose che possono capitare. Fanno parte dei rischi della vita. Dobbiamo anche imparare a sentire se l’altro ci dà fiducia, impariamo ad ascoltarci. Perché noi, in fondo, lo sappiamo se dell’altro ci fidiamo o no. A volte il fatto che l’altro abbia una certa autorità fa sì che noi ci fidiamo completamente, bisogna invece ascoltare le nostre sensazioni, che spesso sono vere, per riuscire ad orientarci nella scelta.Ascoltiamoci.
ENNIO CANU: Voglio sottoporti un dubbio che mi porto dietro da un po’ di tempo e riguarda i melismi, le agilità vocali particolari, molto usate nel canto americano. Si dice che per noi è un po’ impossibile ottenere queste abilità, perché non fa parte della nostra cultura usare la voce in quel modo. Quindi là dove noi andiamo a vocalizzare, utilizziamo scale tipiche nostre e non entriamo in sistemi modali diversi, tipici del blues e del jazz.. è vero questo? Perché io noto che in questo campo si rimane sempre sull’imitazione. Il che vuol dire che là dove si vuole osare un melismo, lo si fa generalmente copiando rigorosamente il cantante di turno. Quindi far diventare tutto questo proprio, fa parte dello studio del canto, oppure no? Generalmente sono più le donne che desiderano vocalizzare…Non mi viene in mente alcun esempio maschile di questo.
LAURA PIGOZZI: Avete compreso tutti la sua domanda? E’ una questione importante. Innanzitutto, per rispondere subito all’ultima parte della tua domanda, possiamo dire che tradizionalmente c’è questa distinzione: gli uomini sono vocalmente più potenti e le donne più agili. Naturalmente nulla toglie alle donne di essere potenti e agli uomini di prendere agilità.
Allora veniamo al discorso delle scale modali: si tratta di scale alterate. Chi di voi conosce la musica?
…si alza qualche mano (sette o otto persone)…
E’ molto importante per chi canta avere nozioni di teoria musicale, se non per leggere a prima vista, almeno per poter studiare una partitura musicale. E’ importante anche per avere un linguaggio comune con i nostri musicisti, per poter farci intendere, per avere un controllo sulle tonalità usate, sull’estensione vocale dei pezzi che scegliamo, per poter anche fare da soli, a casa, gli esercizi che abbiamo imparato a lezione (sempre con l’approvazione dell’insegnante), ecc… Conoscere la musica ci serve per sapere cos’è una scala ad esempio.
Negli esercizi di preparazione dell’orecchio degli allievi si lavora spesso sulle scale modali che sono scale alterate.
Scale che non sono naturalmente nel nostro orecchio a meno che fin da piccoli non ci abbiano abituato ad ascoltare alcuni generi che le usano, come il jazz. E’ importante allenare l’orecchio su cose che non si è abituati a sentire. Soprattutto perché i generi contemporanei sono contaminati tra loro. Dunque non è concepibile che un allievo faccia vocalizzi solo sulle scale regolari.
Lavorare sulle scale modali è il primo passo per poter affrontare l’improvvisazione vocale. Improvvisazione che è meglio iniziare quando il passaggio e la qualità mista della voce, siano state acquisite. Imparare a improvvisare è una cosa difficile, ma necessaria non solo per chi fa jazz. Infatti, anche nella musica pop ormai si improvvisa sempre molto. L’improvvisazione si può, in qualche modo, `insegnare’, benché questo sia, in un certo senso un paradosso. Si possono insegnare alcune tecniche d’improvvisazione, esattamente come avviene per la pittura nelle scuole d’arte. Un’altra cosa importante: quando studiate un pezzo cercate di procurarvene diverse versioni. Oggi è facilissimo col web, procurarsi diverse versioni di uno stesso pezzo. Ve le registrate una accanto all’altra e ve le ascoltate. Chi canta bene, è sempre anche un buon ascoltatore. Nutritevi di cose diverse, imparate ad ascoltare cose strane, di altre culture, cose che non ascoltate abitualmente, imparate ad essere curiosi: questo allargherà i vostri orizzonti vocali. Ascoltate anche musica classica, e questo anche se poi cantate heavy metal. Ascoltate tutto, nutritevi di tutto.
MARIO ARMANDO: volevo fare una domanda sulla dizione: io sono piemontese e si sente molto l’accento. E’ consigliabile fare un corso di dizione? Se uno canta cantautori può servire? Per esempio noi abbiamo la “e” …
..risa nel gruppo…
LAURA PIGOZZI: è una questione di gusto. Io non credo che sia sempre necessario `ripulire’ completamente la voce dalle inflessioni, se queste non sono ovviamente eccessive. Un po’ di inflessione dà un certo colore. Parlando di cantautori pensiamo alla pronuncia emiliana di Guccini o napoletana di Bennato. Inoltre, quando canti in realtà stai già facendo un piccolo corso di dizione: non so se sei d’accordo ma quando canti, l’inflessione dialettale si sente sempre meno di quando parli.
ANDREA ABBA’: In effetti quando ho fatto teatro, mi dicevano come pronunciare alcune parole, tipo `cuore’ o `amore’. Ho studiato dizione per anni ed ho imparato a chiudere alcune vocali. Poi però succedeva che a scuola di canto non riuscivo a cantare perché stringevo la bocca, non riuscivo ad aprirla su alcune lettere.
FLAVIO PIOVAN: io per esempio ho la `s’ che sibila un po’ ….
LAURA PIGOZZI: questo è un difetto che fa corretto. Ci sono esercizi appositi di logopedia che sono da fare. Inoltre, ricordatevi sempre che il canto è comunque un buon correttore dei difetti della parola. Pensate ai balbuzienti che spesso possono cantare. Uno di loro mi ha confessato che provava a contenere il suo problema cercando di affrontare la frase come se dovesse cantarla.
Comunque ricordatevi che in generale le cosiddette `imperfezioni’ della vostra voce, sono la vostra storia. Sono ciò che la fa unica e irripetibile. Tutto quello che avete vissuto è entrato nella `grana’ della vostra voce e passa nella comunicazione. Anche se l’altro che ascolta non lo decifra consapevolmente, lo sente. Nella `grana’ della vostra voce sente qualcosa di voi.
Ci sono, come forse sapete, alcune voci che curano: pensate alle persone in coma a cui si fa ascoltare continuamente la voce della madre o della persona più cara… ed alcune sono state effettivamente risvegliate, forse proprio dall’ascolto di queste voci.
Come ci sono alcune voci che troviamo irritanti, ad es. voci piene di tensioni, di `staccati’, di modulazioni spezzate, che ci irritano e che ci stressano.
Ricordiamoci che spesso, nei concerti che facciamo, veniamo applauditi non per la nostra tecnica (indispensabile supporto), ma per la comunicazione che la `grana’ della nostra voce stabilisce con chi ascolta.
FLAVIO PIOVAN: significa cantare col cuore?
LAURA PIGOZZI: Allora parliamo di come dare emozioni, di come stare sul palco. Scusate ma faccio una parentesi sulla postura del cantante: piedi paralleli, ginocchia morbide (come quando si scia), addome tenuto, cassa toracica aperta, spalle basse, collo eretto e rilassato, tutto perfettamente in asse.
Ma il lavoro vero che si fa sul palco è un lavoro mentale. Un lavoro di concentrazione. Questo è molto importante. Solo se siamo concentrati in quel che stiamo facendo possiamo `esserci’ davvero dentro il pezzo e far passare qualcosa della nostro lavoro all’altro che ascolta. Bisogna essere concentrati sul pezzo, sulla frase, sulla parola e sulla nota che si sta cantando in quel momento. Concentrati significa che io in quel momento `divento’ quella canzone, quella frase, quella parola. Tutto il mio essere in quel momento è lì, dentro quella nota.
Ci sono degli accorgimenti per aiutare questa concentrazione. Ancora quando il pezzo è in fase di studio devo cercare di capire che cosa quel pezzo significa per me. Se, ad esempio, ci sono delle parole che, per me, per la mia storia, mi fanno risuonare qualcosa come un vissuto o un’esperienza. Bene, quelle parole vanno sottolineate nel testo. Cerchiamo queste parole che evocano qualche cosa di personale. Facciamo anche un piccolo commento vicino al titolo, diciamo i sentimenti che il pezzo evoca per noi. Perché è questo che passa all’altro quando cantiamo, il sentimento, non la voce in sé stessa, ma la voce in quanto veicola un sentimento che l’altro può percepire.
ENNIO CANU: A me è stato detto che è bene prima di cantare, recitare il testo che va cantato.
LAURA PIGOZZI: certo, questa è un’altra tecnica utile…Leggerlo prima. Forse non è inutile dire che un pezzo in inglese va tradotto prima di studiarlo, per sapere che cosa state cantando.
Quando cantiamo un testo è come se facessimo resuscitare le parole scritte (che infatti si chiamano `lettera morta’); le facciamo resuscitare in parola viva, in canto. E quando ritraduco così, cantando, aggiungo qualcosa di mio, qualcosa del mio vissuto, che è nella grana della mia voce. Ogni volta che voi cantate un pezzo, state cantando qualcosa di voi. Per questo è tanto difficile cantare, perché è come mettersi a nudo. E’ più difficile della velina che si scoscia: la velina fa vedere una coscia, chi canta, invece, mostra l’anima. E possiamo essere feriti in questo. Ecco perché chi canta è tanto vulnerabile, ed ha paura.
(FINE)
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Anita O’Day e Karrin Allyson al Blue Note di New York
Lo scorso 23 luglio, a New York, sul palco del mitico Blue Note, si sono alternate una grande leggenda del passato ed una nuova stella del jazz americano.
Ha aperto la serata una Anita O’Day arzilla, minutissima e spiritosa nei suoi 84 anni. La sua voce ha rivelato ancora uno swing straordinario ed una capacità fuori dal comune di stare sul palco e di saper scherzare musicalmente, con gusto, mestiere, ma anche con autentica complicità, coi musicisti che la accompagnavano: Bob Kaye al piano, Eddie Cacavale alla batteria e Chip Jackson (bravissimo) al basso. Eppure la sua voce rivelava, contemporaneamente ai fasti di un tempo, anche i drammi più recenti. Non sono, infatti, solo gli anni – tanti -quelli che si sentono nella grana della voce della O’Day: vi si avverte anche la dolorosa storia della dipendenza dall’eroina che ha segnato la sua vita negli anni ’60, portandola ad un passo dalla morte nel `69. Il suo impasto vocale rivela chiaramente il dramma, con la stessa trasparenza con cui lei stessa racconta – nella sua autobiografia High Time, Hard Time, uscita nell’81 – oltre che i suoi successi straordinari, anche l’intera vicenda di questa dipendenza, da cui alla fine uscì, ricominciando anche a lavorare. La sua esibizione ha commosso e toccato noi privilegiati ascoltatori di una voce che rivelava certamente una vita difficile, ma anche piena di quel temperamento e coraggio che ancora oggi sostiene questa artista che ha vissuto così intensamente gli anni più esaltanti del jazz. Una voce in cui si poteva leggere la partitura di una vita intera.
Qualche nota biografica: Anita Bell Colton nasce a Chicago, il 18 ottobre 1919 e debutta all’età di 10 anni. Negli anni ’30 cambia il suo cognome in O’Day e comincia a cantare nei jazz club con la band di Gene Krupa e la tromba di Roy Eldridge. Il loro Let me off uptown, divenne un popolare successo, forse anche grazie all’ottimo impasto tra la voce della O’Day e la tromba di Eldridge. Negli anni quaranta Anita venne eletta dalla rivista Down Beat, Nuova Star dell’Anno e comparve tra le prime cinque cantanti di big band. Lavorò anche nella band di Woody Herman e Stan Kenton. Il grande successo arrivò alla fine degli anni ’40. Fece coppia fissa col batterista John Poole, con cui suonò per altri 32 anni. Il suo album Anita, prodotto dalla Verve, elevò la sua carriera verso uno stabile successo. Lavorò, per ricordare qualche nome, con Louis Armstrong, Dinah Washington e Thelonious Monk
Pochi minuti dopo l’esibizione di Anita O’Day, l’emergente Karrin Allyson, arriva sul palco con grinta e sicurezza, in un contrasto impossibile da non notare, con la minuta e delicata Anita, che ne era appena scesa, un po’ malferma, sulle sue rigide gambe di anziana signora.
Arriva dall’ultimo successo alla Carnegie Hall di New York, dove, si è esibita – con altre star – al concerto corale in memoria di Ella Fitzgerald. Apprezzata e notata dalla critica americana, la Allyson emerge nel ’90, distinguendosi come scat singer. La sua formazione musicale, oltre ad un diploma in pianoforte, mescola il folk, suo primo amore, con il jazz più sofisticato e con la solidità stilistica dei pezzi del repertorio francese di Jacques Brel e di quello, raffinatissimo, della bossa nova.
La sua voce è più sensuale che potente con uno scat abile e preciso che non fa rimpiangere troppo un range vocale non acutissimo. Karrin esibisce infatti uno scat molto educato e studiato, forse un po’ a spese della spontaneità, ma certamente impeccabile e sicuro. Si muove con sensualità sul palco, soprattutto nelle bosse, ma anche con autorevolezza nel rapporto con i suoi musicisti del Kansas che la seguono sempre: il mirabilissimo chitarrista Danny Embrey, vero pilastro della band e poi Bob Bowman al basso e Ron Vincent alla chitarra. E, naturalmente, la Allyson al piano.
Qualche nota biografica e discografica su Karrin Allyson: nasce nel Kansas, ma cresce nei dintorni di S.Francisco. Studia pianoforte classico e canta folk. Nell’87, dopo l’università, comincia ad esibirsi regolarmente nel nightclub di Kansas City di proprietà dello zio. Decide di vivere in quella città. Nel ’92 firma con l’etichetta Concord Jazz, il suo primo disco I Didn’t Know About You. Crea la sua band con musicisti di Kansas City, con cui incide la maggior parte dei suoi lavori. Nel ’99 esce From Paris to Rio, album di pezzi francesi e brasiliani, che affinano i suoi canoni stilistici. Il lavoro del 2001 Ballads: Remembering John Coltrane, le valse due nomination al Grammy. L’album del 2002, In Blue, contiene nuove versioni di pezzi di Mose Allsion, Joni Mitchell, Gershwin e Abbey Lincoln.
Una serata molto appagante, insomma, che ha permesso di godere di due artiste tanto diverse, per esperienze ed epoche storiche, ma accomunate da un grande temperamento jazzistico ed un sicuro impatto scenico.
Foto: Anita O’Day al Blue Note | |
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Karrin Allyson al Blue Note | |
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Tutti i diritti sono riservati-copyright by Laura Pigozzi
Seminario
LA VOCE, L’EMOZIONE, LA PULSIONE
di Laura Pigozzi
Cherasco, sabato 1 ottobre 2005
(sintesi di Laura Pigozzi)
Sommario:
1. Rilievi e aspettative dei partecipanti al seminario
2. Le labbra vocali
3. L’improvvisazione jazzistica e i suoni prelinguistici
4. Suono e parola: i due emisferi cerebrali
5. Come il suono ci modella
Per introdurre il tema del seminario, “La voce e la pulsione”, ho deciso di inaugurare il lavoro della giornata facendo ascoltare una versione live di Autumn Leaves , cantata da Rachelle Ferrell, che viene accompagnata al piano da Michel Petrucciani.
Prima di entrare nel vivo del seminario, vorrei però chiedere ai partecipanti di fare una breve presentazione di se stessi e di raccontare, se possibile, cosa hanno pensato o sentito in relazione ai particolari suoni emessi dalla cantante nel brano che ha aperto i lavori.
1. Rilievi sull’ascolto del brano e aspettative dei partecipanti al seminario
Ecco alcune delle osservazioni del pubblico presente in sala:
• Un batterista rileva gli impressionanti passaggi tonali nella improvvisazione vocale dell’artista e l’interessante ritmicità della sua voce. Approfitto di questa osservazione per ricordare che la questione del ritmo della voce –per la sua importanza nella costituzione del soggetto- sarà argomento che richiederà una trattazione a parte, ma a cui si cercherà di accennare anche nel corso della giornata.
• Una cantante lirica, presente tra il pubblico, sottolinea la difficoltà di usare uno strumento come la voce, difficoltà spesso sconosciuta ai musicisti che suonano strumenti meno ‘naturali’ e quindi, per certi aspetti, più controllabili. Intervengo ricordando, a questo proposito, che tale difficoltà ha anche una base biologica: la laringe infatti non nasce per cantare; questo è un risultato ‘culturale’ dell’evoluzione dell’uomo. In realtà l’accollamento delle corde vocali, biologicamente, ha una funzione sfinterica, permette cioè di creare una pressione interna nel corpo che serve all’organismo umano per compiere sforzi di varia natura. Cantare significa dunque suonare uno strumento che in natura è stato predisposto per altri scopi, più pratici. E’ certamente più difficile suonare uno strumento che non è stato costruito dall’uomo ma a cui l’uomo fa fare qualcosa per cui quello strumento non è naturalmente predisposto, anche se lo ha ‘culturalmente’ imparato. Il suono, il canto, la voce sono produzioni culturali, creative. Hanno a che fare con qualcosa che eccede la dimensione naturale. La voce non è, infatti, mai semplice natura, neppure quando vocalizza apparentemente svincolata dal senso. Per di più nel canto – e non solo in quello lirico – la laringe fa cose che nella fonazione parlata non fa. Si muove in un modo ancor più ‘culturale’: popoli diversi hanno diverse emissioni vocali, cioè diversi modi di utilizzare i movimenti che la laringe può fare e può in parte modificare con l’esercizio. Inoltre, lo strumento vocale è molto delicato in quanto sottoposto ad ‘aggressioni’ esterne (fumo, inquinamento, polveri, freddo, secchezza dell’aria, batteri, ecc) ed interne (dalle trasformazioni del corpo – le diverse fasi dalla pubertà alla menopausa e all’andropausa – alle modificazioni umorali ed emotive). Uno strumento mai ‘neutro’, ma che invece riflette, spesso anche troppo fedelmente, quello che stiamo vivendo.
• Una cantante batterista mette in luce le proprie difficoltà a gestire l’ansia da esibizione. Ed in particolare rileva come, in quelle situazioni, si senta quasi stringere fisicamente la gola, con un acuto senso di costrizione e di soffocamento. Rispondo ricordando che l’emozione che stringe la gola, provoca un irrigidimento dei tessuti della faringe la quale, in quanto è la nostra prima cassa armonica, perchè più prossima alle corde vocali, non permetterà al suono di espandersi correttamente nelle altre casse armoniche della testa e del torace.
• Quasi tutti i partecipanti rilevano che le emozioni non permettono loro di fare ciò che la loro voce potrebbe fare perché, come un fiume in piena, travolgono invece di poter essere canalizzate, come invece ad esempio accade nel brano ascoltato. A questo proposito sottolineo quanto sia comunque importante sentire l’emozione prima di salire sul palco per poter trasmettere emozioni a chi ci ascolta. Il giorno che non dovessimo più sentir niente, il giorno in cui salire sul palco ci è diventato troppo normale e un po’ indifferente, faremo senz’altro meglio a chiudere l’attività canora. L’emozione va veicolata in una forma, ma ci deve senz’altro essere.
2. Le labbra vocali
Mostro ora alcune immagini a colori di corde vocali. Dal momento che alcuni presenti in sala non avevano mai visto l’immagine delle corde vocali, spiego il loro funzionamento: quando le corde sono aperte siamo in fase respiratoria, quando sono chiuse stiamo fonando, cioè parlando o cantando. Quando sono accollate in realtà non sono così chiuse come appaiono nelle immagini, perché nella fonazione il rivestimento epiteliale più esterno delle corde (il più esterno dei 5 strati) sfrega contro l’altro. Il più esterno è il più squamoso, il meno liscio, mettendosi in vibrazione produce il suono. Un tempo le pliche vocali venivano definite corde vocali, nome che evoca uno strumento musicale. Oggi si preferisce (e anch’io lo preferisco) chiamarle labbra vocali, una denominazione più anatomica, più vicina al corpo e che rende ragione di quella somiglianza morfologica delle labbra vocali alle labbra del … sesso femminile. Quando un cantante per la prima volta vede l’immagine delle sue labbra vocali, spesso a seguito di una visita foniatrica, la scoperta di quella somiglianza morfologica lo lascia abbastanza smarrito…. specie se si tratta di un cantante uomo.
3. L’improvvisazione jazzistica e i suoni prelinguistici
Ho scelto il brano di apertura del seminario per introdurre la mia teoria sulla questione dell’emozione e la voce. Il livello emozionale del suono è più evidente laddove l’artista utilizza stilisticamente fonemi non strettamente linguistici che sconfinano quasi nel verso animale e nell’urlo. Esiste anche almeno anche un’altra artista che è maestra nell’arte della vocalizzazione con suoni originali ed è Sainkho Namchylak, monaca di Tuva, regione siberiana vicina alla Mongolia, che utilizza –tra l’altro- le sue capacità sonore per entrare in trance. Quella regione del mondo è famosa per questo genere di canto (canto degli armonici), una modalità vocale che ispirò anche, tanti anni fa, l’indimenticabile Demetrio Stratos. Sainkho Namchylak si produce in concerti in tutto il mondo: è stata, abbastanza di recente, per due volte, anche a Milano. Ho scelto però di far ascoltare Rachelle Ferrell perché più vicina alla nostra sensibilità musicale occidentale e jazzistica, più adatta dunque a intendere per noi come l’emozione che si condensa nel suono, possa trovare una via d’espressione, una forma nell’improvvisazione vocale jazzistica.
Nel canto jazz trovano posto tutti quei fonemi, umanamente producibili ma che vengono perduti nell’adattamento alla lingua.
I fonemi perduti e sacrificati per poter parlare, nel canto vengono recuperati. E’ facile riconoscerli nelle improvvisazione scat anche meno sofisticate di quelle ascoltate.
4. Suono e parola: i due emisferi cerebrali
Il nostro cervello è ripartito in aree funzionali diversificate. Relativamente alla fonazione, all’emisfero sinistro pertengono le competenze di elaborazione del linguaggio e della significazione della parola, mentre a quello destro sono affidate le attitudini relative al suono, all’emozione e anche all’attività onirica
Il corpo calloso mette in comunicazione i due emisferi cerebrali in modo che il soggetto possa così associare suono e parola.
La funzione del suono va ben al di là del servire il linguaggio. Vorrei citarvi un testo, appena uscito in Francia, su neuroscienze e psicanalisi (Gérard Pommier, Comment les neurosciences démontrent la psychanalyse, Flammarion, Paris, 2004) che fa il punto della situazione a cui sono giunti gli studi neurobiologici e la loro rilevanza sul piano psicanalitico. L’autore evidenzia alcuni aspetti sulla funzione del suono in relazione alla crescita cerebrale.
C’è un fenomeno neurologico – che si chiama attrizione – e che spiega come i neuroni non utilizzati degenerino, decadano nel loro funzionamento. Il bagaglio neuronale innato si modella, dunque, secondo le circostanze dell’esistenza. Ora, ci sono evidentemente neuroni che registrano il suono. Se il bambino ascolta alcuni suoni, i neuroni corrispondenti prosperano. Se alcuni suoni non vengono ascoltati, le aree percettive e fonatrici di quei particolari suoni mancanti, decadono. Ad esempio, i bambini giapponesi non ascoltano mai i fonemi ‘ra’ e ‘la’, quindi non solo non sapranno riprodurli bene da adulti, ma tenderanno anche a confonderli tra loro. Quello che ci interessa di questa digressione è il fatto che quando i neuroni che registrano i suoni sono danneggiati, le conseguenze d’involuzione del sistema nervoso e dell’arresto della crescita sono enormi.
Un altro esempio ci chiarirà la ripartizione degli emisferi durante la fonazione. Le vocali sono percepite in entrambi gli emisferi, in quanto sia significative che sonore. Le consonanti solo dall’emisfero sinistro (area di Broca) in quanto decisamente meno sonore e musicali rispetto alle vocali. L’emisfero destro è musicale, sonoro. Quello sinistro sillabico, significante, linguistico. (Delle conseguenze di questi aspetti, come la differenza di un cervello maschile o di un cervello femminile durante l’ascolto, come anche della differenza di ascolto da parte di un cervello maschile di una voce maschile o femminile, ho parlato alla trasmissione RAI – L’Italia sul due – del 26 ottobre 2005).
Le vocali sono estremamente sonore, come sa ogni cantante che si eserciti. Non per caso gli esercizi di training vocale sono costruiti sulle vocali e vengono chiamati, appunto, esercizi di vocalizzazione. Ogni parola udita dunque si ‘biforca’ nei due emisferi: il destro ne registra il suono, il sinistro il senso. In alcune lingue la presenza delle vocali è estremamente massiccia, come ad esempio la lingua giapponese e le lingue di alcune isole polinesiane. In questi popoli è stata rilevata una sollecitazione più importante dell’emisfero destro, rispetto ai popoli che parlano altri idiomi.
5. Come il suono ci modella
Se il suono può far decadere o proliferare aree cerebrali, significa che esso modella in qualche modo la nostra materia neuronale, le sue sinapsi, il suo modo di funzionare, in breve modella la fisicità del nostro corpo.
Infatti, lo stile vocale di ciascuno si costituisce lentamente a partire dai suoni che ascolta. Per esempio i suoni ascoltati nell’infanzia modellano il bambino, lo modellano anche psicologicamente. Voci aggressive lo renderanno insicuro e, con molta probabilità, aggressivo per reazione.
Inoltre, il nostro stile vocale, il modo che abbiamo di parlare, in qualche maniera si sedimenta ed entra a costituire la nostra intonazione, il nostro ritmo del discorso. E, si può aggiungere, come dice Proust, “la nostra intonazione contiene la nostra filosofia della vita… i genitori immergono l’individuo in tratti abituali che sono i tratti del viso e della voce, ma anche una certa maniera di parlare, certe frasi ripetute, che quasi incoscienti come un’intonazione, quasi altrettanto profonde, indicano, come quelle, un punto di vista sulla vita” (A la recherche du temps perdu, ed. de la Pléiade, p.909).
A questo punto alcune domande dal pubblico mi obbligano ad una lunga digressione sui rapporti genitori-bambino nella nostra contemporaneità e le serie questioni che i nuovi modelli di comportamento familiare propongono. Di questa digressione tralasciamo la trascrizione.
La parte conclusiva della giornata è dedicata all’analisi della voce di quei partecipanti che lo desiderano. La loro performance, che può essere di canto, di recitazione o anche di semplice lettura di un testo, è finalizzata a fornire materiale di riflessione sui particolari aspetti della voce, in modo che, a partire da voci concrete, si possano approfondire alcuni aspetti già trattati teoricamente nella prima parte della giornata ed, eventualmente, segnalarne di nuovi, di modo che l’esibizione di ciascuno sia un dono per tutti gli altri.
Sintesi del Seminario La Voce, L’Emozione, La Pulsione di Laura Pigozzi
Tenuto al Centro Studi Impara L’Arte di Cherasco, sabato 1 ottobre 2005
Organizzazione: Linea Musicale di Daniela Caggiano
La fondamentale rilevanza della voce nella relazione madre – bambino sarà oggetto del prossimo seminario di marzo-aprile 2006 (data in via di definizione)
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